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Delusione

  • Immagine del redattore: Filosofia di Bene
    Filosofia di Bene
  • 4 set 2020
  • Tempo di lettura: 3 min



“La rassegnazione è di due specie, una radicata nella disperazione, l’altra in una irraggiungibile speranza. La prima è nociva, la seconda no”. (Bertrand Russell)

Molte delle sofferenze di cui le persone mi parlano sono legate alla delusione.


Si aspettavano che le cose, in un rapporto, andassero in un certo modo, e invece sono andate diversamente; speravano che il cambio di professione risolvesse la loro insoddisfazione personale, e invece questa permane.


Qualcuno ha affermato che non si debbano mai nutrire aspettative. Eppure le aspettative confinano con la Speranza, quella che è l’ultima a morire, come ci ricorda il mito di Pandora. Se non speriamo, è difficile credere di poter realizzare i nostri progetti o coronare i nostri sogni.


Aspettative, attese, illusioni, sogni, progetti, speranze… Sembra che siano tutti sullo stesso piano e che colorino le nostre esistenze. Quando ci sentiamo delusi, la nostra vita si dipinge di grigio. Viene meno lo slancio che ci fa svegliare desiderosi di vedere se, nella giornata che abbiamo di fronte, si verificherà qualcosa di “positivo”.


Come fare a sganciarsi dall’eteronomia delle aspettative? Come si può accettare che le cose non vadano come abbiamo pensato o auspicato che andassero? Come si può essere autonomi, e non in balìa del caso, anche di fronte alle delusioni? L’accettazione viene percepita come sinonimo di sconfitta, perché – quando cerchi di tirarla in ballo con la persona disillusa e/o delusa – sembra quasi che tu voglia dirle di accontentarsi. Eppure non è così. Accettazione non è rassegnazione. Per Russell, ad esempio, questa era da valorizzare, quasi uno strumento di autotutela:

“Una certa rassegnazione è implicita nella volontà dì affrontare la verità riguardo a noi stessi; questa rassegnazione, anche se nei primi momenti può implicare una certa sofferenza, alla fine diventa una protezione, in realtà l'unica protezione possibile, contro le delusioni e le sconfitte alle quali si espone colui che è in malafede verso se stesso”.

Epitteto, nel suo Manuale, ci rammenta quanto sia fondamentale distinguere ciò che è sotto il nostro controllo da ciò che non lo è. Ovvero, vi sono degli accadimenti, nella vita di ciascuno di noi, che esulano dalla nostra volontà: non possiamo obbligare una persona ad amarci o pretendere una reciprocità che non ci può garantire. Sugli altri, su ciò che riguarda lo spazio e la libertà altrui e sulla casualità degli eventi, noi non possiamo nulla. Possiamo, invece, qualcosa su di noi, visto che siamo padroni del nostro pensiero. Un amico su cui avevamo investito tanto, tempo ed energie, cui avevamo confidato i nostri vissuti più profondi sparisce o latita, venendo meno alla presenza cui ci aveva abituato sino a quel momento? Infruttuoso sarebbe prodigarsi a cambiare il suo atteggiamento, pretendere di cambiare l’altro perché si adegui alle nostre aspettative… Utile e necessario, invece, è lavorare sul nostro modo di reagire e di interpretare l’evento: io posso scegliere come vivere questo cambiamento nel rapporto, cercando di lavorare sul mio pensiero.


La delusione è un sentimento, utile e necessario. Deve essere accolto e contemplato nelle sue ripercussioni sulla nostra interiorità. Se rimaniamo delusi da una persona, magari vuol dire che vi abbiamo riposto troppa fiducia o che l’abbiamo idealizzata, o che semplicemente non siamo in grado di accettare che ci siano momenti, nella vita di ciascuno, in cui non possiamo rispondere alle aspettative altrui. Può capitare anche a noi, feriti dalla noncuranza degli altri. Ne derivano emozioni che possono impadronirsi del nostro tempo, quali tristezza, frustrazione, sfiducia, misconoscimento … persino stanchezza e abulia. Se non possiamo piegare gli eventi, possiamo tuttavia influire sull’interpretazione che diamo a quegli eventi dolorosi. Una persona che perde il lavoro può reagire diversamente a seconda di come legga questo fatto immodificabile: o come sconfitta da cui non si riprenderà mai più, o come opportunità per ambire a una situazione professionale ancora più appagante. Ne derivano o tristezza e angoscia, nel primo caso; oppure speranza e curiosità nel secondo.


Come ci ricorda William Shakespeare nell’Amleto,

«nessuna cosa è in sé buona o cattiva; è il pensiero a renderla tale».

Laddove non possiamo modificare i fatti, possiamo modificare l’interpretazione che diamo.

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“Nessuno di noi abita il mondo, ma tutti abitiamo esclusivamente la nostra visione del mondo. E non è reperibile un senso della nostra esistenza se prima non perveniamo a una chiarificazione della nostra visione del mondo, responsabile del nostro modo di pensare e di agire, di gioire e di soffrire. Chi si rivolge al counseling filosofico non è malato, è solo alla ricerca di un senso”.

– Umberto Galimberti –

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