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L’importanza dell’autorelazione

  • Immagine del redattore: Filosofia di Bene
    Filosofia di Bene
  • 16 lug 2021
  • Tempo di lettura: 3 min

La serie Solos (Assolo, in italiano) si colloca nel solco del filone filo-sci-fantasy ora molto in voga, e consta di 7 episodi che indagano il rapporto dell’individuo con se stesso e col mondo sempre più digitalizzato verso cui siamo lanciati. Sono “assoli” in quanto la mezz’ora scarsa di ogni puntata è dedicata ad un solo personaggio che, quasi in un flusso di coscienza, si confronta con se stesso, a volte al cospetto di un interlocutore. La presenza del futuro digitalizzato e quasi transumano sembra faccia da catalizzatore rispetto al tentativo di far emergere – da questo orizzonte apparentemente disumanizzante – tutta l’umanità che è in noi. I temi filosofici emergenti sono, difatti, quelli su cui – ab origine – ci si interroga: la morte, la malattia, i fallimenti, i progetti inattuati, la relazione con gli altri, l'identità. Nonostante il futuro ci corredi di dispositivi (di controllo e di potere, alla Foucault), l’uomo rimane sempre tale, caratterizzato dalle medesime questioni esistenziali da cui ha preso avvio la Filosofia.


Il secondo episodio è dedicato a Tom. Si rimane subito spiazzati, perché questo rampante uomo di successo si trova al cospetto di un altro Tom, seduto di fronte a lui, sul divano del suo studio. Li si distingue solo perché vestiti diversamente. E si viene catapultati in una sorta di esperimento mentale:

“Immagina di incontrare te stesso. Chi vedi?”

Questo dice, infatti, la voce fuori-campo che introduce alla storia. Tom incontra questo altro da sé, quasi una concrezione del Sé come un altro di cui parlava Paul Ricoeur: quell’Altro che ci inabita, e che è sia medesimezza che ipseità. La prima è l’identità che permane, che consente a Tom di riconoscere se stesso nella persona che ha davanti; la seconda è il mutamento, che comunque ci caratterizza in quanto siamo noi ma, nel tempo, non possiamo che constatare che cambiamo. Tom, all’inizio, è indispettito, urtato da questo Altro al suo cospetto, che lo guarda e sembra giudicarlo: non riconosce il suo stesso corpo, deride l'usurpatore diffidando del suo collo, del suo naso … stenta a vedersi in lui. Sicuramente, dato il contesto della storia narrata, lo spettatore può cogliere in questa ribellione al riconoscersi nell’altro-Tom, una forma di resistenza da parte del protagonista, che deve accettare … Scopriremo presto che questa fatica è dettata dal fatto che sia inaccettabile ciò che l’Altro rappresenta per Tom: la sua fine imminente. L’uomo seduto sul divano, difatti, è davvero un usurpatore: dovrà prendere il suo posto visto che il Tom “originale” ha avuto una diagnosi infausta e ha pochi mesi davanti. Allora egli cerca di usare quei minuti concessigli dalla società che ha costruito il suo clone robotico (perché questo è l’altro-Tom!) per indottrinarlo e spiegargli chi egli sia: non cosa faccia, perché – come dice il suo sosia – questo è risaputo e già uploadato nel suo hardware, ma chi sia. Gli pone, insomma, la domanda delle domande: chi sei tu? E qui emerge tutta la potenza della narrazione del sé, che consente a Tom di vincere l’iniziale rabbiosa resistenza e di sondare se stesso nel tentativo di far emergere ciò che conta, ossia quello che lo caratterizza, nella relazione coi figli e con la moglie da cui presto dovrà congedarsi. Ma in tale racconto di sé di fronte a sé medesimo, come in uno specchio, Tom prende anche consapevolezza di se stesso, dismette la maschera di cinico che sino a poco prima lo corazzava rispetto al mondo, lascia fuoriuscire il magmatico cuore che lo distingue come unico e si auto-riconosce.

Pochissimi e intensi minuti, in cui si tocca con mano l’importanza del dialogo interiore, della confessione allo specchio, un esempio di esercizio spirituale cui dovremmo allenarci non solo al limitare della vita ma – come volevano le scuole ellenistiche – quotidianamente. Il riconoscimento, per cui lottiamo tutta la vita, passa necessariamente attraverso l’auto-riconoscimento; se non abbiamo un rapporto autentico con noi stessi, non possiamo ambire a un’esistenza autentica. Per questo è davvero interessante assistere a questo stimolante esperimento in cui l’altro che è in noi prende forma e si incarna davanti ai nostri occhi, perché spesso lo diamo per scontato, trascurandolo come interlocutore.

Il valore dell’assolo che dovremmo imparare ad ascoltare.

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“Nessuno di noi abita il mondo, ma tutti abitiamo esclusivamente la nostra visione del mondo. E non è reperibile un senso della nostra esistenza se prima non perveniamo a una chiarificazione della nostra visione del mondo, responsabile del nostro modo di pensare e di agire, di gioire e di soffrire. Chi si rivolge al counseling filosofico non è malato, è solo alla ricerca di un senso”.

– Umberto Galimberti –

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