La Memoria
- Filosofia di Bene
- 28 gen 2021
- Tempo di lettura: 3 min

“Non esiste separazione definitiva sinché esiste il ricordo” (Isabel Allende)
“La nostra memoria è un mondo più perfetto dell’universo: restituisce la vita a coloro che non esistono più” (Guy de Maupassant)
È risaputo quanto Magritte amasse disorientare lo spettatore con le sue opere. In fondo il surrealismo è anche questo: declinazione e concrezione di thauma – fonte da cui il pensiero trae movimento – ovvero destabilizzazione, spaesamento, angosciante stupore, oltre che semplice meraviglia. Ed effettivamente, con la sua rappresentazione della memoria, il pittore belga genera tutto ciò nel fruitore dell’opera. Inevitabile domandarsi il perché dell’associazione tra la testa decollata di una bellezza classica e il sangue che la imbratta. Ma Renè Magritte non ci offre interpretazioni rassicuranti, anzi, sceglie di dire ciò che il dipinto non è, quasi volesse – attraverso questa ermeneutica apofatica – indurre lo spettatore a riflessioni proprie.
Che cos’è, dunque, per me la memoria? È il solo mezzo in mio possesso per continuare a ridestare, a tenere vivi determinati ricordi. Soprattutto determinate persone. È un qualcosa di prezioso, che voglio custodire e coltivare. Attraverso la memoria, possiamo ad esempio continuare a rievocare, a riportare tra noi, i cari che non ci sono più. Rammentare (da re-ad-mentàre, “riportare indietro nella mente”, “ricondurre alla mente”) e ricordare (da re, “indietro” e cor, “cuore”, quindi “riportare al cuore”) sono gli atti attraverso cui possiamo ridestare ciò che non è più. Penso che questa capacità di “tenere in vita” sia, ad esempio, rappresentata dalla rosa e dal verde delle sue foglie, nel dipinto di Magritte… La memoria, dunque, ridà linfa, inverdisce ciò che è sopito. È la capacità di tramandare vita, nella sua singolarità, nella sua irripetibilità. Inevitabilmente, ricordare è raccontare. Gabriel Garcia Marquez affermava difatti che
“la vita non è ciò che viviamo, ma ciò che ricordiamo e come lo ricordiamo”.
Nel momento in cui narro dei ricordi, modifico dunque i ricordi stessi. Spesso ci sarà capitato di tornare su un vissuto del passato e di accorgerci, nel narrarlo, di scorgervi nuovi significati, di averlo ricollocato all’interno della nostra mente e, quindi, della nostra esistenza. Non si tratta di mistificare ciò che è stato, né di edulcorarlo – anche se spesso il ricordo ha questa capacità –, bensì di risignificarlo.
La memoria consente inoltre di ovviare a ciò che in molti temiamo: l’oblio.
“La mia memoria sarebbe stata inghiottita dal nulla. Le mie parole, la mia coscienza, tutto quello che era mio, giù nel pozzo nero dell’oblio. Erano destinati a sparire anche le case, le strade, la totalità degli esseri viventi, il nostro pianeta, il sole, la luna, le stelle, l’universo intero. Scagliai lontano il sasso bianco neanche fosse stata una strega: mi aveva iniettato un’angoscia che sarebbe durata tutta la breve vita che un destino indifferente mi aveva concesso”. (Alejandro Jodorowsky, La danza della realtà)
Un pensiero che scatena la mia angoscia è proprio quello così ben descritto da queste parole: se un giorno dovesse sparire anche l’ultimo uomo sulla faccia della Terra, se la Terra stessa non fosse più, dove andrebbero a finire le nostre memorie? Chi o che cosa custodirebbe l’unicità delle nostre singole esistenze? Ecco che il pensiero del Nulla incombe… ma mi consolo pensando a ciò che posso nel qui ed ora che ancora mi è garantito: ricordare. Restituire vita, ripotare al cuore e alla mente ciò che non è più, ma che ancora mi appartiene.
E poi la memoria di me. Ovviamente un altro pensiero che mi lascia al cospetto del thauma come angosciante stupore è quello relativo alla possibilità che possa perdere la memoria, per accidente o per una delle tremende malattie neurodegenerative cui l’essere umano è soggetto. La perdita dei miei ricordi, sarebbe la fine della mia individualità, sarebbe perdere una parte costitutiva della mia esistenza, essendo costrizione del Leib a mero Körper. Ma questa eventualità non è passibile di controllo da parte mia, se non nei limiti della speranza – per quanto egoistica – che gli altri si ricordino di me.
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