Melancholia
- Filosofia di Bene
- 30 mag 2020
- Tempo di lettura: 3 min
Aggiornamento: 1 giu 2020

“Cos’è dunque la malinconia? È l’isterismo dello spirito. Giunge un momento nella vita di un uomo, in cui l’immediatezza diviene quasi matura ed in cui lo spirito esige una forma superiore nella quale afferrare se stesso come spirito. Come spirito immediato l’uomo è una cosa sola con tutta la vita terrena, e lo spirito si vuol quasi raccogliere fuori da questa dispersione, e trasfigurarsi in se stesso: la personalità vuol diventare cosciente di sé nel suo eterno valore. Se questo non accade, se il movimento si ferma, e viene represso, subentra la malinconia. Molte cose si possono fare per dimenticarla, si può lavorare, ci si può aggrappare a mezzi più innocenti di quelli di Nerone, ma la malinconia rimane. Chi ha dolori e preoccupazioni sa perché è triste e preoccupato. Se si domanda ad un malinconico quale ragione egli abbia per essere così, cosa gli pesa risponderà che non lo sa, che non lo può spiegare. Questa risposta è giustificatissima, perché non appena egli conosce il perché, la malinconia è dissipata”. (S. Kierkegaard, Aut-Aut)
“Ciò che la caratterizza in modo estremamente significativo è la frequenza del suo insorgere dopo i supremi appagamenti e compimenti vitali. Perché essa fa seguito all’atto sessuale, perché si è tristi dopo una sbornia formidabile o un eccesso dionisiaco, perché le grandi gioie sono foriere di tristezza? Perché di tutto lo slancio consumato in questi eccessi restano solo il sentimento dell’irreparabile e il senso di perdita e di abbandono, contrassegnati da una fortissima intensità negativa” (E. Cioran)
Si narra che Lars von Trier abbia realizzato il film Melancholia (2011) per esprimere la depressione esistenziale che lo attanaglia da tutta la vita. L’opera artistica, in quanto autopoiesi, può facilitare processi di autochiarificazione, in maniera catartica. È una forma di cura di se stessi.
Ma l’opera d’arte è anche un mezzo che, attraverso la sinestesia, può aiutare laddove la parola non arriva anche nelle relazioni di aiuto quali il Counseling Filosofico: si propone un testo stimolo mediatico, o il consultante lo porta, per disquisire di ciò che verbalmente non riesce ad essere formulato. Se ne parla filosoficamente, per entrare dentro la visione del mondo del cliente.
La gran parte dei malesseri affrontati in sede di Counseling Filosofico individuale riguarda – per dritto o per rovescio – l’Angoscia Esistenziale, ossia quel sentimento di malinconia persistente, che pervade di vacuità ogni gesto di chi la prova, senza che vi sia causa scatenante esogena. Proprio come una delle due protagoniste del film: Justine (interpretata da Kirsten Dunst). È una percezione interiore, non ancora patologica, ma che può diventarlo se si cronicizza. Riguarda anche l’inclinazione individuale di alcune persone, ovvero il loro modo peculiare di guardare a sé e al mondo in un certo “colore”, potremmo dire: nero, come l’etimo di “melancolia” ci ricorda (“umor nero”).
Non è la semplice accidia, la malattia del chiostro, ma un alone pervasivo che può invalidare lo slancio vitale e il progetto esistenziale delle persone che la esperiscono.
Ancora prima di Kierkegaard e Cioran, Kant - ne Il Conflitto delle facoltà - affermava:
“La debolezza di abbandonarsi scoraggiati ai propri sentimenti morbosi, senza un oggetto determinato (senza fare quindi il tentativo di dominarli mediante la ragione) - la malattia del cattivo umore («hypocondria vaga»)”
Albrecht Dürer[1] rappresenta magistralmente tale
“intrusione derisoria della fine metaempirica nel pieno della continuazione che si dispiega nell’intervallo temporale” (V. Jankélévitch).
L’incisione dell’artista di Norimberga, simboleggia la difficoltà del tramutare il piombo in oro, ovvero di passare dalle tenebre alla luce. Tra i vari oggetti rappresentati, molti spiccano per contrasto: il cane scheletrico, la clessidra, la campana, la scala a pioli, ma anche l’arcobaleno e la cometa. Emerge la compresenza di luce e ombra, come l’essenziale della tecnica mostra, a metafora della vita di ciascuno. Questo ci fa intuire come la malinconia, espressione della depressione esistenziale, possa essere un’opportunità per chi ne è pervaso: l’opportunità di trasformare se stesso da piombo – greve, scuro e solido – in oro, luminoso, splendente e prezioso. Insomma, se oppott unamente affrontata e intesa come occasione, tale condizione esistenziale può aprirci la via dell’Autenticità, quel sentimento di congrua presenza a noi stessi e di armoniosa relazione con l’altro.
[1] L’opera di Dürer cui si fa riferimento è Melencholia I, facente parte di un trittico di incisioni, realizzato tra il 1512 e il 1514: Il cavaliere, la morte e il diavolo, San Girolamo nello studio e Melencholia per l’appunto.
Verissimo: non è facile e comporta una sfida verso se stessi. Io, senza voler essere autoreferenziale, credo tanto che l’educazione all’Autenticita’ passi attraverso l’esercizio del pensiero, inteso che come filosofia di un certo tipo, e attraverso il rapporto con l’altro, mai semplice interlocutore e sempre un’unicità con cui entriamo in contatto. Bisogna tendere, dunque, al conseguimento di un riconoscimento interno ed esterno. A volte bisogna essere accompagnati da un terzo, che ci aiuti ad apprendere delle “abitudini” costruttive che ridestino le risorse che ciascuno ha... Ci sarebbe tanto da dire, a riguardo. Intanto grazie della domanda stimolante
Molto bello e attuale....ma spesso mi chiedo come educare ed educarci all'autenticità e come trasformare il piombo in oro?