Riconoscimento e Risentimento
- Filosofia di Bene
- 7 nov 2020
- Tempo di lettura: 3 min

“Nei racconti personali di coloro che si considerano trattati moralmente male, giocano appunto un ruolo dominante categorie come quelle dell’‘offesa’ o dell’‘umiliazione’, le quali stanno in rapporto con forme di dispregio, cioè di riconoscimento negato. Simili concetti negativi designano un comportamento che è ingiusto non perché pregiudichi la libertà d’azione di alcuno o gli rechi danno materialmente, ma piuttosto perché riguarda quell’aspetto lesivo di un comportamento che colpisce le persone nella stima positiva che hanno di sé. (A. Honneth, Riconoscimento e disprezzo)
Uno dei motivi più frequenti di malessere, nelle nostre vite, è quello legato alla mancanza di riconoscimento da parte degli altri. Quando il nostro agire viene travisato, nonostante gli sforzi, quando la nostra persona viene percepita diversamente da come vorremmo, inevitabilmente soffriamo. Ci sentiamo offesi e umiliati. E se siamo propensi all’onestà intellettuale, non possiamo non avvertirci scalfiti dai fraintendimenti che, forse, abbiamo generato noi stessi. Il dubbio ci dilania, minando l’autostima, la visione che abbiamo di noi stessi, innescando un’ineludibile crisi che avvia anche una “lotta per l’auto-riconoscimento”.
Se, tuttavia, siamo certi di “essere nel giusto”, ecco che ciò che affiora è, oltre alla rabbia, il Risentimento. Il livore, ossia quel sentimento che ci conduce o sulla strada della rivalsa o sulla strada dell’atarassia. La prima rende impraticabile il perdono di coloro che ci hanno misconosciuto; la seconda è frutto di magnanimità, di quella capacità che emerge di fronte alla comprensione di quanto ciò che sfugge al nostro controllo – quindi il giudizio altrui – sia tra le cose che bisognerebbe reputare come indifferenti, quindi incapaci di turbarci.
Quest’ultima sembrerebbe la via (stoica) maggiormente auspicabile; eppure noi abbiamo bisogno di sentirci riconosciuti dall’altro, di farci percepire per quello che realmente siamo ed è normale sforzarsi di argomentare le proprie ragioni, di rispiegare le intenzioni, di esporsi nuovamente nel tentativo di far passare il messaggio al ricevente per come era nelle nostre intenzioni. Perché, come sostiene Maurice Merleau Ponty
“Il nostro rapporto con la verità passa attraverso gli altri. O andiamo verso la verità con loro, o non è verso la verità che andiamo”
Ci sentiremmo soli, ancora più soli, se non riuscissimo a far cogliere la nostra Verità. Il che non vuol dire imporla, ma saperla difendere, mantenendo fede a noi stessi e nel rispetto dell’altro. È una questione di dignità: quando il riconoscimento non è garantito, ci sentiamo minati nel nostro valore.
A volte, la rivalsa diventa questione di vita o di morte, come ci rammenta Hegel nella Fenomenologia dello Spirito:
“Il rapporto fra le due autocoscienze, dunque, si determina come un dar prova di sé, a se stesso e all’altro, mediante la lotta per la vita e la morte”.
La lotta per il riconoscimento è questo. Implicitamente la combattiamo per tutta l’esistenza, ma – in presenza di una ferita causata dal fraintendimento –, diviene una vera e propria guerra finalizzata a dar prova di sé. È vero, l’atteggiamento della sospensione del giudizio, del farsi scivolare addosso l’opinione altrui, può essere utile; tuttavia dentro di noi cova il bisogno di superare la prova.
Ho visto diverse persone bloccate dal risentimento, acciecate dal desiderio di riscatto e di giustizia; non riuscivano più a crescere, ad andare avanti, manifestando atteggiamenti di sfiducia nei confronti dell’Altro (potenziale fonte di frustrazione e di dolore) e incancreniti nella volontà di vendetta. Il livore diviene nemico di colui che ne è in balìa, sortisce un’amplificazione di un misconoscimento che, in questo caso, si agisce verso se stessi, in quanto ci si trasforma in quel risentimento, lo si incarna e ci si allontana da se stessi. Come spiega Roberta De Monticelli, queste persone diventano, paradossalmente, proprio come coloro che hanno destato questo rancore attraverso il mancato riconoscimento, aprendosi all’odio, l’ultima e più dannosa manifestazione della climax del risentimento:
“L’odio è il disconoscimento di identità dell’altro, che spegne il doloroso dissenso con se stessi nell’atrofia del cuore, nell’indifferenza”.
Cara Cecilia, grazie a te! La tua domanda penso apra ad un ampio discorso sull’arte della comunicazione “efficace”. Saper argomentare il proprio punto di vista, cercare di comprendere le ragioni altrui (alla base del misconoscimento cui ci sottopone), riformulare quelle stesse posizioni, spesso aiuta a stemperare i toni e apre al dialogo vero, slegato dal conflitto in cui inevitabilmente si sfocia. Ciò non toglie che questo non garantisca nella comprensione da parte dell’Altro. Spesso comprendere serve più a chi è vittima di mancato riconoscimento. Esistono infatti persone che, sebbene ci si prodighi in questa comunicazione efficace, rimangono ferme nelle loro posizioni preconcette, solo interessate ad avere ragione a tutti i costi, come spiega ad esempio molto bene Schopenhauer in “L’arte…
Caro Francesco, sicuramente Hegel ha sviscerato il tema del riconoscimento nella dialettica “servo-Padrone”, simbolo della reciprocità necessaria- sia del servo che del padrone - perché ciascuno possa riconoscersi ed essere riconosciuto... Per quanto riguarda Ricoeur, credo che nessuno come lui abbia teorizzato questo tema in modo tanto magistrale. “Percorsi di riconoscimento” è sempre con me, presente nella riflessione costante su questo fondamento della nostra visione del mondo. Cher François, Hegel a sûrement exploré le thème de la reconnaissance dans la dialectique "servant-maître", symbole de la réciprocité nécessaire - du serviteur et du maître - pour que chacun puisse reconnaître et être reconnu... En ce qui concerne Ricoeur, je crois que personne comme lui n'a théorisé ce thème de manière aussi magistrale. "Chemins de…
Grazie per queste" parole oneste",che curano e arricchiscono l'essere persona. Mi chiedo come difendere la mia verità "dignitosa" quando l'altro si relaziona con una verità manipolata, con l'intento a volte di ferire a volte per difendere egoismi personali.
Importance historique de la reconnaissance : Hegel le premier a montré dans la "Phénoménologie de l'Esprit" (1807) le rôle capital de la lutte pour la reconnaissance appliquée à la "Dialectique du Maître et de l'Esclave" au long de l'histoire. Ce qui inspira Karl Marx qui dénonça l'aliénation de la classe ouvrière (les prolétaires) en les appelant à faire la révolution contre le capitalisme des bourgeois de la société industrielle du 19ème siècle. On sait ce qui s'en suivit au 20ème siècle.
A lire la remarquable étude du philosophe Paul Ricoeur: "Parcours de la reconnaissance" Ed. Stock.
Importanza storica del riconoscimento: Hegel ha mostrato per primo nella "Fenomenologia dello Spirito" (1807) il ruolo capitale della lotta per il riconoscimento applicato alla…